La tenacia e la grazia: elogio di Anita Vecchi, la pioniera della zootecnia italiana

 In Penne e piume

I libri sono messaggi in una bottiglia che gli autori affidano ad un caso che è molto più grande delle loro intenzioni. E gli autori, invece? Spesso si eclissano, dietro un nome e cognome sulla copertina o, quando va bene, diventano un monumento, su cui vanno a posarsi i piccioni.

Eppure questo autore o autrice, prima di essere assunti all’immortalità, spesso, precaria della carta stampata erano persone con sogni, speranze e una vita. Ecco dunque che, quasi sempre, se andiamo a chiederci chi fosse veramente quel nome in copertina, si incontrano storie che mai avremmo immaginato.

Le sorprese possono arrivare anche da quei libretti smilzi che amici ti regalano perché sanno che sei un amante del vintage di carta e inchiostro o che trovi, con la pazienza del cercatore di funghi, sui banchetti dei libri usati.

 Mi è capitato recentemente di fare una scoperta con “Norme pratiche di pollicoltura” della professoressa Anita Vecchi. Posso immaginare sorrisi increduli in tutti meno in chi condivide, con me, quella passione bislacca per l’allevamento delle galline. Eppure vi ricrederete.

Chi era Anita Vecchi? Praticamente la Montessori della zootecnia, in un’Italia, quella di cent’anni fa dove le donne laureate erano una rarità. Anita, come ricorda Scienza a due voci, sito dell’Alma mater dedicato alle donne nella scienza italiana tra Sette e Novecento, era una ragazza di Bologna, classe 1893. Si era laureata in scienze nel 1918, premiata da re Vittorio Emanuele III e capace di costruirsi una carriera in università come docente.

 Era riuscita ad ottenere una cattedra che non era mai esistita fino a quel momento: quella di zoocoltura. Donna schiva ma decisa e dalla profonda cultura, si occupò in particolare di api e polli, oltre che di allevamenti in generale. Riusciva a passare dallo studio accademico al manuale per allevare le galline destinato alle massaie, come appunto “Norme pratiche di pollicoltura”, innovativo anche dal punto di vista grafico.  Anita, tra le altre cariche, fu anche nominata all’accademia nazionale dell’entomologia.

Insegnò fino alla scomparsa, nel 1953, realizzando la profezia del professor Pincherle che, in commissione di laurea, affermo come la Vecchi sarebbe diventata «un’ottima insegnante».

La professoressa Vecchi scrisse un’ottantina di saggi, individuando già ai tempi, il legame tra agricoltura, zootecnia, genetica e ambiente.

 Tra i suoi allievi quella Ida Giavarini che fu un altro gigante  della zoologia, autrice di quelle Razze dei polli, atlante insostituibile per chiunque si interessi di avicoltura.

Cosa ci ricorda la vicenda di Anita Vecchi? Che le vicende umane sono all’insegna del transeunte ma che abbiamo il dovere di riportare alla luce vite esemplari perché, soprattutto in un mondo inflazionato da notizie, modelli e informazioni, certe persone possono essere validi esempi.

Anita Vecchi fu tenace nel perseguire il suo obiettivo, in una società che vedeva nella donna una comprimaria, una società la nostra in cui molto c’è ancora da fare per i diritti delle donne ma in generale per far sì che l’istruzione sia una possibilità effettiva per tutti.

Eh sì, perché l’altra grande lezione di Anita Vecchi è che lo studio, la cultura possono essere un ascensore sociale ma anche quel quid che permette di realizzare veramente i nostri talenti, la nostra più intima essenza. Senza, tutto il resto è, ad andar bene, coreografia.

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Comments
  • Giovanna Foresti
    Rispondi

    Mi è piaciuto molto leggere il tuo articolo, bella la storia di questa donna scienziata!

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