Semina ciò che ami: l’orto come scatola del tempo

 In Giardini e orti

«Mai avuto l’orto così bello come quest’anno» commentava un amico: la quarantena durante il Covid 19, infatti, ci ha visti impegnati, spesso, o ai fornelli o tra le aiuole; i risultati sono stati, spesso, lusinghieri potendo, finalmente, dedicare il tempo dovuto a queste attività.

Ma cosa abbiamo seminato in questi orti?

Quelli che stanno prosperando sono, tuttavia, orti eroici perchè in molti casi realizzati con quel che c’era in casa, data la chiusura di centri di giardinaggio e negozi specializzati: i semi che mi aveva dato la nonna, la bustina di sementi dimenticata da anni, le piantine che il vicino ci ha portato con il sorriso che si intravedeva da dietro la mascherina.

Sicuramente il Covid 19 ci ha fatto riappropriare di ritmi più naturali anche nell’orto: dover partire dal seme per avere la piantina di pomodoro che prima compravo già cresciuta ha dato un valore aggiunto all’orto di casa.

Potendo scegliere però cosa avremmo messo nel nostro orto? Cosa potremmo seminare ad esempio in vista dell’autunno?

Buona norma e senso pratico suggeriscono una regola semplice ma efficace: semina ciò che effettivamente consumi. Il novizio difatti si fa prendere dalla sindrome del collezionista, è capitato a tutti, e farebbe dell’orto un trionfo di essenze vegetali, salvo poi accorgersi che il tal ortaggio non l’ha mai potuto sopportare fin da bambino.

Altra buona pratica è seminare in base allo spazio che ho: una zucchina nell’orto sul balcone occupa una superficie notevole, per la produzione di un ortaggio che trovo senza difficoltà e a prezzi ragionevoli; piuttosto una bella pianta di pomodori datterini che ha un rapporto area occupata / produzione – utilizzo molto alto.

C’è tuttavia un terzo ed ultimo consiglio per il contadino metropolitano: semina ciò che ami.

Seminare ciò che si ama significa pensare ad un orto, ma anche ad un giardino, in cui le piante ci ricordino sapori, volti e storie del nostro passato e della terra in cui siamo cresciuti o da dove siamo arrivati.

 Ad esempio, personalmente, amo coltivare le fave perché mi ricordano la mia Puglia o i fagioli borlotti e le patate perché li piantavo da bambino. Ci sono poi ortaggi entrati nel mio orto grazie a persone conosciute negli anni, come il cavolo nero toscano, grazie alla nonna fiorentina di una mia alunna, il cavolo dei Ronchi di Brescia, una rarità, con uno degli ultimi ortolani delle nostre campagne, oppure il pomodoro verde, suggerimento di un amico italo – messicano.

Conservare i semi, tramandarli ha poi il valore impagabile della difesa di una storia personale – del territorio.

É come costruire una scatola del tempo per una biodiversità concreta, è come diventare i custodi di un’arca di sapori e sentimenti tenaci.

Provate a scorrere i cataloghi alla ricerca di varietà tipiche della vostra zona, chiedete ad anziani ortolani, frequentate le mostre mercato di piante antiche, imperdibile quella di Guastalla: riscoprirete un mondo dalle infinite modulazioni di frequenza.

Le varietà antiche – tipiche di un territorio, inoltre, hanno il vantaggio di potersi riprodurre uguali nel tempo, a differenza delle varietà commerciali ibride, indicate con la sigla F1, che tendono a non riprodurre lo stesso frutto qualora seminate l’anno successivo.

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